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La crisi italiana e la dittatura finanziaria, dal panfilo Britannia alla fuga delle aziende
Veniamo ai
fatti: nel 1992 comincia il “saccheggio” del patrimonio industriale
pubblico italiano. La motivazione ufficiale che portò a questa fase di
stravolgimento degli assetti proprietari dell’impresa pubblica nazionale,
(l’alibi) fu quella dell’elevato debito pubblico che andava ridotto a
tutti i costi. In quel periodo, l’evoluzione dei “Progressisti” di
allora, passa attraverso una fase revisionista, azzerando lo Statalismo e
instaurando il Capitalismo. Comincia l’era dell’apertura alla “libertà”
del mercato. La nuova stagione economica prese avvio in concomitanza con fatti
di rilievo che avevano caratterizzato quel periodo storico con situazioni a
dir poco clamorose. L’operazione giudiziaria “Mani
pulite” stravolse completamente il quadro politico italiano,
travolgendo il cosiddetto penta partito. Caratterizzano quel periodo gli
omicidi dei giudici Falcone e Borsellino; l’attacco alla lira ed alle altre
valute europee da parte di alcuni insider
guidati dallo speculatore George
Soros, portò ad una forte svalutazione ed alla
“distruzione” del Sistema Monetario Europeo (SME) ( secondo i complottisti). Nel gennaio
del 1993 l’Executive
Intelligence Review pubblicò un documento intitolato “La
strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di
un’economia italiana”. Si delineava un quadro preoccupante
di attacco all’economia italiana, nel contesto della cosiddetta
“globalizzazione dei mercati”, cioè la realizzazione di un unico sistema
economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui
movimenti e sulla creazione di capitali ovvero una sorta di “dittatura”
economica. Nella riunione
si decise di “svendere” il patrimonio industriale – finanziario con il
pretesto delle liberalizzazioni-privatizzazioni. Appunto. La privatizzazione
del patrimonio pubblico avviene in due fasi. Nella prima fase vennero cedute l’IRI,
TELECOM ITALIA, ENI, ENEL, COMIT, IMI, INA, CREDITO ITALIANO, AUTOSTRADE.
L’INDUSTRIA SIDERURGICA ED ALIMENTARE PUBBLICA. La fase
successiva punta invece al settore della previdenza, della sanità, dei
trasporti (ferrovie, trasporto pubblico di linea, trasporto navale, taxi), a
quello delle utilities (aziende
municipalizzate nei settori acqua, elettricità, gas) e ad altre funzioni di
rilievo pubblico. L’”Operazione Britannia” mette nelle mani di pochi
gruppi finanziari “occulti per identità”, ciò che prima era dei
cittadini, sottraendo notevoli risorse dalle casse dello Stato. In
sintesi è stata ceduta e ancora cederemo, la sovranità industriale ed
economica dell’Italia. La mancanza di
risorse ha provocato e provoca la riduzione del Welfare,
dei posti di lavoro, del il
monte salari, creando
così le condizioni per “riformare” in senso peggiorativo e non
costituzionale il sistema
sociale, frutto di tante “battaglie sindacali”. La
“pistola” puntata alla tempia del “globalizzatore” ci costringerà a
rivedere il nostro sistema dei diritti al cittadino (sanità, pensioni,
giustizia, istruzione, ecc.), accelerando la fine dello Stato Sociale moderno.
La finanziarizzazione dell’economia mondiale, con interi settori
dell’economia reale, vengono “cooptati” sul grande tavolo da “gioco”
della finanza globale. Una grande “catena di Sant’Antonio” a livello
globale, dove il gioco finisce quando l’ultimo della catena resta col
“cerino” in mano, svelando che si è trattato di un grande bluff, dove i
valori finanziari espressi non esprimevano vera ricchezza reale. Britannia
2 la “Scarpetta”.
Liberalizzare
serve solo a creare monopoli privati e centralisti.
L’attività
demagogica è stata utilizzata per rendere meritoria agli occhi della
popolazione la nuova normativa di liberalizzazione, per cui tutti
dovevano avere il diritto di trovare sotto casa il negoziante di scarpe
piuttosto che di giocattoli. La normativa parlava
di “una più capillare distribuzione dei prodotti sul territorio” che
invece hanno finito col concentrarsi in centri commerciali i quali, a loro
volta, hanno sostanzialmente preso il monopolio del mercato. Ovviamente della
necessità di “una più capillare distribuzione dei prodotti sul
territorio” , ora non se ne parla più! E’ poi assolutamente falsa
l’idea per cui le liberalizzazioni portino ad un abbassamento dei prezzi. Di
fatto però, le tariffe sono cresciute più dei prezzi al consumo, così il
valore pagato per i beni e i servizi liberalizzati è cresciuto costantemente
e notevolmente, tanto che paghiamo quasi tutti i servizi più cari della media
europea(ci sarà un motivo). La normativa
di liberalizzazione
in materia di commercio stilata durante gli anni ’90 – ha
di fatto abrogato la legge 426 che regolamentava il settore. Con
l’insediamento dei centri
commerciali ci si è trovati a dover pagare le licenze di
commercio, ed ecco in soccorso le liberalizzazioni che hanno consentito
l’acceso alle licenze in forma gratuita. L’eliminazione dei vincoli di
distanza per l’illusione di apertura di un’attività commerciale, ha di
fatto rappresentato la porta d’ingresso a poche grandi catene commerciali,
che si sono impossessate a oggi di circa l’ 80% del mercato. Ciò ha
comportato la moria delle piccole attività commerciali, e non solo, ma anche
di tante aziende produttrici di merci di vario genere non più competitive
vista la concorrenza di prodotti esteri a basso costo e di dubbia qualità. Secondo le
previsione degli addetti al settore, dal 2003 c’è stato un calo fisiologico
di vendite per la piccola distribuzione a vantaggio di Supermercati, Centri
Commerciali e Outlet (una sorta di triangolo selle “Bermude” che inghiotte
l’economia diretta degli italiani). La cronaca ci fa sapere che ogni assunto
da un supermercato provoca sette disoccupati, ma al nostro sistema politico la
cosa non interessa, in quanto viene messo al centro il “denaro” e non il
cittadino.
Non c’è dubbio che la grande
finanza gode di particolari protezioni con dinamiche
trasversali di difficile connotazione. La selezione
‘darwiniana’ innescata dai processi di globalizzazione dei mercati, sta
facendo “morire” le piccole imprese disperdendo un patrimonio di
competenze pressoché unico, frutto di anni di esperienza e di dedizione. Di
riflesso si tratta della disoccupazione e dell’impoverimento delle realtà
economico – locali a scapito dell’economia diretta. La
liberalizzazione non poteva escludere le locazioni abitative.
Per
qualche “Euro” in più. Attirati dai
facili guadagni, molte industrie hanno trasferito le loro produzioni in paesi
emersi, con l’opportunità di avere mano d’opera a basso costo, riuscendo
a vendere il prodotto finito a prezzi notevolemente inferiori alla
concorrenza. Il prodotto importato in Italia o in Europa ha un valore aggiunto
di una notevole entità che si traduce in lauto guadagno per l’operatore
economico. Così molti imprenditori producono utili mentre altri non reggono
la concorrenza: la ricchezza di “Pirro”. Infatti, la metà delle aziende
chiude entro il sesto anno di attività. Il denaro è uguale a “valore” e,
il mondo occidentale, con la scusa dei lauti guadagni, ha trasferito
“valore” nei paesi orientali. Oggi i paesi orientali stanno riesportando
“valore” nel mondo occidentale; lo stesso che riesportato nel mondo
occidentale non è destinato a investimenti produttivi ma per “comprarci”. Prepariamoci a
diventare poveri.
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