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Mentre negli USA la feroce opposizione
popolare ha in qualche modo rallentato, compromettendolo, il
percorso dei progetti di legge liberticidi SOPA e PIPA, la censura su
internet è arrivata in Europa. Il nome del nuovo tentativo di mettere la
mordacchia alla Rete, trasformandola nel supermarket delle multinazionali
si chiama ACTA, come Anti-Counterfeiting Trade Agreement, ovvero
“accordo commerciale contro la contraffazione”. Come spiega il sito per “nerd” Geekosystem,
ci sono almeno due ragioni per le quali l’ACTA è da considerarsi una
forma ancora più subdola e pericolosa di controllo e sorveglianza.
Innanzitutto, com’è evidente dall’acronimo, si tratta di un trattato
commerciale: circostanza che, secondo l'interpretazione giuridica
dominante negli USA, permette di bypassare la discussione al Congresso
(cosa che non vale per SOPA e PIPA). Inoltre, trattandosi appunto di un
trattato internazionale multilaterale, è in grado di influire anche sulla
vita di milioni di cittadini di tutto il mondo. Ufficialmente il trattato dovrebbe impedire la contraffazione delle
merci: in realtà il suo obiettivo è equiparare alla contraffazione la
semplice copia di prodotti protetti da copyright, trasformando in
criminali tutti coloro copiano film, e-book e musica mettendoli a
disposizione di altri online. Sembra una distinzione semantica sottile, ma
copiare un file non è contraffare. Chi condivide file coperti da
copyright senza il consenso di chi gestisce il giro delle royalty non sta
cercando di ingannare i fruitori sostenendo che quel file è originale, né
(almeno di solito) pretende un pagamento. Il vero problema di questo stato di cose è che, mentre la gente
condivide prodotti culturali gratuitamente, il racket delle major non
guadagna un centesimo. Le multinazionali dell'intrattenimento sono
talmente incattivite da essere pronte ad attraversare qualsiasi confine
etico e giuridico pur di proteggere il loro decrepito modello di business.
Il modo con cui i detentori del copyright intendono perseguire i loro
interessi è quello già visto per SOPA e PIPA: rendere gli ISP (i
fornitori di servizio internet) responsabili per l’uso della connessione
internet che fanno i loro clienti. Una prima versione del testo implicava l'obbligo di controllare che
tipo di traffico essi effettuano, il che non può che voler dire
sorveglianza profonda e continuativa, e naturalmente censura, magari
preventiva. L’attuale testo prevede invece che l’ISP è tenuto a
“fare qualcosa” per impedire la violazione del diritto d’autore, e
si cita come esempio la possibilità di tagliare la connettività ai
clienti dopo la terza volta che vengano sorpresi a scaricare materiale
protetto da copyright.
Ma a profittare della ACTA saranno anche un'altra specie di
parassiti multinazionali: le società farmaceutiche. Infatti, il trattato
formalmente nato per tutelare i consumatori da merci contraffatte potrebbe
diventare un valido alleato delle malattie che mettono a rischio il futuro
di interi paesi già condannati dalla povertà e dal sottosviluppo.
Supponiamo ad esempio che in un paese in via di sviluppo si sviluppi
un’epidemia di una malattia curabile con un determinato farmaco il cui
brevetto sia detenuto da un produttore americano (o svizzero, che è
uguale) e immaginiamo che quest’ultimo rifiuti di mettere a disposizione
dei produttori locali ad un prezzo equo il brevetto per la produzione del
generico. In simili circostanze a questi ultimi viene graziosamente
concesso di produrre senz’altro il prodotto anche violando il brevetto.
Bene, grazie ad ACTA è stato reso assai più difficile accedere a questa
scorciatoia: i malati dei paesi in via di sviluppo ringraziano. Per riassumere, ACTA è un trattato commerciale che, al fine di
impedire ai ragazzini di scaricare musica e film gratuitamente,
istituzionalizza la censura su internet e rende prioritario il profitto
dell’industria del farmaco rispetto alla salvezza di vite umane. Il suo
testo, inoltre, è stato steso in segreto, sotto dettatura degli
intermediari che fanno i soldi con la creatività di altri; grazie al suo
status di trattato commerciale è stato firmato in quattro e quattr’otto
dal presidente Obama ad ottobre dello scorso anno, senza alcun passaggio
al Senato o alla Camera dei Rappresentanti; anche se sul Washington
Post i professori di diritto Jack Goldsmith e Lawrence Lessig
hanno spiegato che secondo loro il Presidente “non ha alcun potere
costituzionale indipendente in materia di proprietà intellettuale o di
comunicazioni”. Per giunta, il trattato, che ha l’ambizione di essere applicato
in tutto il mondo, contiene delle definizioni talmente generiche da far
cadere le braccia: come si legge sul sito di Quadrature
du Net, una ONG attiva nel campo delle libertà digitali,
“ACTA prevede sanzioni da codice penale per i cittadini, anche se
definite in modo pericolosamente generico”. Insomma, ACTA è un mostro
dai mille tentacoli che rappresenta il trionfo degli interessi particolari
e immeritevoli di tutela sulle libertà e sul buonsenso. Come se non
bastasse, l’ACTA dà vita al cosiddetto Comitato ACTA, incaricato della
supervisione della implementazione del trattato: comitato costituito di
membri non eletti e privi di alcun obbligo di rendere conto ai cittadini
del proprio operato. Per usare le parole di Electronic
Frontier Foundation (EFF) “tanto nella sostanza che nel
metodo, ACTA incarna l’obsoleto approccio al governo basato
sull'arbitrio e sull'imposizione dall'alto: un metodo sconnesso dalle
moderne nozioni di partecipazione democratica”. Lo scorso ottobre Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud,
Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, oltre agli Stati Uniti, hanno approvato
ACTA. Lo scorso 26 gennaio a Tokyo, i rappresentanti di 22 Stati membri
dell'Unione europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Republica Ceca, Danimarca,
Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania,
Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia
e Regno Unito) hanno a loro volta apposto la loro firma sotto il testo
dell'ACTA. A differenza di quanto accade negli USA, l’Unione Europea sta
trattando ACTA come un accordo vincolante, il che può essere una buona
notizia, dato che implica l’obbligo dell’approvazione da parte del
Parlamento Europeo, previsto per la metà del prossimo giugno.
In
ogni caso, non sono mancate le proteste, anche clamorose, specialmente
nella Repubblica Ceca e in Polonia. Al grido di “Hollywood non scriverà
le nostre leggi”, centinaia di rappresentanti del partito pirata si sono
ritrovati nelle piazze ghiacciate di Praga per dimostrare contro
l’adesione al delirante trattato da parte del governo della Repubblica
Ceca. In Polonia, dove a sfilare in piazza contro ACTA sono stati in
migliaia, i deputati del partito libertario Movimento Palikot si sono
presentati in parlamento indossando una maschera di carta modellata da
quella di V, il protagonista del film “V per Vendetta” del 2005, oggi
“marchio di fabbrica” della galassia “anti-Wall Street” e del
movimento di hacker etici “Anonymous”. Non tutti hanno dimostrato uguale intelligenza: quando
l’ambasciatrice slovena in Giappone Helena Drnovšek Zorko ha firmato
l’ACTA il 26 gennaio, le si è abbattuta contro una comprensibile
tempesta di proteste. A quel punto la signora ha ammesso di “aver agito
con leggerezza dal punto di vista delle mie responsabilità
istituzionali” e di “aver perso l’opportunità di esercitare
l’obiezione di coscienza, ammessa anche per noi burocrati”. C’è da
sperare che al Parlamento Europeo le cose vadano diversamente e che i
deputati dimostrino per una volta di essere rappresentanti dei cittadini
anziché servi del potere economico. Noi italiani, per dire, abbiamo
firmato - senza pensarci troppo su, e senza pentimenti postumi.
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